
Sondaggi Turchia: Erdogan in calo al 41% al ballottaggio presidenziale, il CHP sale al 35%. Repressione interna e difesa militare non frenano il malcontento
I sondaggi recenti in Turchia ci raccontano uno scenario politico che si muove – e non poco – dove il Partito Popolare Repubblicano (CHP) rafforza la propria posizione attestandosi al 35% (+1), mentre il partito del presidente Erdogan, l’AKP, si ferma al 29%, pur indicando un lieve recupero rispetto ad aprile.
I dati, raccolti dall’istituto Ank-Ar tra il 20 e il 23 giugno su un campione di 2.004 persone, confermano una tendenza ormai stabile: il centrodestra tradizionale perde terreno e l’area di opposizione, anche se fra molte difficoltà e sotto pressione giudiziaria, torna a crescere e nel sondaggio presidenziale ipotetico che contrappone Erdogan a Mansur Yavaş – sindaco di Ankara e volto moderato del CHP – il distacco è netto: 59% a 41%, con il presidente in calo di un punto. Un dato che pesa, soprattutto alla luce dell’inasprimento del clima politico interno, con arresti di sindaci d’opposizione, proteste represse e un clima sempre più polarizzato.
Da settimane il governo ha rafforzato le pressioni su amministratori e rappresentanti del CHP, in particolare dopo l’arresto del sindaco di Istanbul Ekrem İmamoglu e di altri nove esponenti accusati di corruzione e uso illecito di fondi pubblici, accuse che, secondo l’opposizione, sarebbero politicamente motivate: il segretario del CHP Özgür Özel è finito anch’egli nel mirino della magistratura, indagato per presunte minacce a un procuratore e per insulti a pubblico ufficiale. Erdogan stringe la sua morsa sulla Turchia, utilizzando lo strumento giudiziario come leva di potere, mentre sul fronte esterno cerca di rafforzare il ruolo della Turchia nello scacchiere geopolitico, alternando appelli alla pace e toni duri, soprattutto nei confronti di Israele e dei suoi alleati.
Quello che si delinea, anche attraverso i sondaggi, è un equilibrio fragile: l’opposizione cresce nonostante le difficoltà, ma il leader turco resta determinato a difendere la propria posizione con ogni mezzo a disposizione, tra campagne di consenso, investimenti militari e retorica patriottica sempre più accesa.
Sondaggi e repressione: la Turchia tra consenso in calo per Erdogan e accuse di autoritarismo da parte dell’opposizione
Sondaggi alla mano, Erdogan affronta uno dei periodi politicamente più delicati della sua lunga carriera e mentre l’opposizione prende slancio con candidati come Yavaş, che nel confronto diretto superano il presidente turco di quasi venti punti, il governo rafforza i controlli sull’informazione, sulla magistratura e sugli enti locali, alimentando l’accusa – sempre più diffusa – di guidare un sistema che ha perso ogni garanzia di equilibrio democratico e le recenti misure giudiziarie contro figure importanti del CHP si inseriscono in un contesto dove anche le manifestazioni vengono represse con durezza e dove, di fatto, fare opposizione diventa ogni giorno più difficile.
L’apparato governativo gioca la carta della sicurezza, ma nel frattempo prova a rilanciare anche in campo internazionale, presentandosi come mediatore tra Israele e Iran, sostenitore della tregua a Gaza e interlocutore centrale nelle trattative in Siria e Libia: il presidente ha ribadito al vertice NATO dell’Aia che la Turchia si impegnerà per un cessate il fuoco permanente sia tra Teheran e Tel Aviv, sia nella Striscia, una posizione che rafforza l’immagine di Ankara come attore attivo nel Medio Oriente, ma che, vista dall’interno, appare più come una strategia comunicativa per distrarre da problemi politici interni.
I sondaggi mostrano che questa narrazione fatica a convincere: sebbene il voto religioso e conservatore resti compatto, le grandi città si allontanano sempre di più dal presidente. Le accuse contro i procuratori e i giudici vicini al potere – come Akin Gürlek – mostrano una spaccatura tra le istituzioni e i partiti d’opposizione, che il presidente turco tenta di gestire stringendo i ranghi intorno al proprio blocco e aumentando i sussidi a categorie fedeli, mentre continua a tagliare ogni margine di autonomia a chi gli si oppone.
Sondaggi, Erdogan punta su difesa e tecnologia: la “Cupola d’Acciaio” come strumento di consenso e sicurezza
Sondaggi politici che registrano un calo di consensi non sembrano però frenare il leader turco sul fronte strategico e militare: il presidente ha infatti accelerato i tempi per realizzare la “Steel Dome”, il nuovo sistema multistrato di difesa aerea turco, progettato per proteggere lo spazio nazionale da minacce esterne e rafforzare l’indipendenza tecnologica del Paese. Si tratta di un ambizioso progetto – spesso paragonato all’Iron Dome israeliano – ma sviluppato interamente in Turchia con il contributo delle aziende Aselsan, Roketsan e Tubitak, che già forniscono tecnologie operative come Korkut, Hisar e Siper: la struttura sarà in grado di intercettare attacchi a corto, medio e lungo raggio, con quattro livelli di copertura e capacità di risposta ad aerei, droni e missili balistici.
Il presidente turco presenta la Cupola d’Acciaio come una “priorità nazionale”, un’infrastruttura difensiva pensata non solo per proteggere i confini ma anche per affermare l’autosufficienza militare del Paese in un contesto di forti tensioni regionali; in parallelo, Erdogan rilancia anche il suo impegno diplomatico, definendo “genocidio” quanto accade a Gaza e proponendo incontri internazionali come quello dell’OIC a Istanbul, dove ha ribadito l’urgenza di una tregua duratura.
Ma la doppia strategia – repressione interna e attivismo estero – sembra non bastare a invertire la tendenza nei sondaggi: la sfiducia cresce, soprattutto tra i giovani e nelle fasce urbane, dove il discorso sulla sicurezza perde forza e l’immagine di una “cupola” difensiva rischia di suonare come l’ennesima mossa simbolica.
Il sistema Siper, già operativo in alcune basi strategiche, è la punta di diamante di questa architettura, che secondo i vertici della Difesa sarà completata nei prossimi anni ma Erdogan, dal canto suo, continua a spingere sull’industria nazionale, rivendicando che il Paese oggi produce in proprio l’80% del suo fabbisogno in armamenti: è una scommessa che potrebbe coinvolgere una parte dell’elettorato più sensibile al tema della sovranità militare, ma che per ora non sembra sufficiente a risollevare i numeri che emergono dai sondaggi, dove il consenso appare in ritirata anche tra chi in passato aveva sempre garantito sostegno.